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Baja on the road

150 km a sud di San Diego, la Valle de Guadalupe in Baja California, Messico, fa da sfondo a una scena enogastronomia in continuo fermento

È una mattina di sole, nella Valle de Guadalupe, e siamo tutti insieme sul pullman. Seduto in prima fila, lo chef Rick Bayless dice: «Bene, facciamo una breve analisi della cena di ieri sera. Naturalmente, conosciamo tutti la differenza tra moritas e chiles pasillas oaxaqueños…». A dire il vero, non tutti. Io, ad esempio, non la conosco. Ma il resto della comitiva (un assonnato e a mala pena funzionante gruppo di cuochi e personale di sala dei ristoranti di Chicago di Bayless) sicuramente sì. Siamo al secondo giorno di un viaggio di approfondimento nella regione vinicola della Valle de Guadalupe, e siamo già un po’ cotti. Bisogna aggiungere che “a mala pena funzionante” vale per tutti, tranne che per Bayless. In ginocchio sul sedile, brillante e ipereloquente, ripercorre minuziosamente la cena della sera precedente (che a me è parsa notevole) da Animalón, il ristorante all’aperto dello chef Javier Plascencia. Analizza ricetta per ricetta: «Quella vongola sminuzzata con l’aguachile. Lo zucchero la addolcisce. Però, secondo me l’aguachile dovrebbe essere», batte il pugno destro nel palmo aperto della mano sinistra, «così. E c’era anche lo shiso! Ma questo succede spesso nella cucina di Baja, oggi. È l’influsso della cucina asiatica. E del vino, che ne pensate?»

Una cosa è certa: Rick Bayless conosce la cucina messicana meglio di tutti noi. Nato in Oklahoma, cresciuto lavorando nel ristorante di barbecue della sua famiglia, è stato in Messico la prima volta all’età di 14 anni, «e ho capito immediatamente che quello era il posto giusto per me». Il motivo, all’inizio, erano gli studi di antropologia ma, poco prima di scrivere la sua tesi per il dottorato, Bayless si è trasferito in Messico con la moglie e socia in affari, Deann: è rimasto per cinque anni a fare ricerche per il suo primo libro di cucina. Poi è tornato a Chicago e nel 1987 ha aperto il ristorante Frontera Grill, seguito da un premio James Beard, diversi libri di cucina, programmi televisivi, altri ristoranti (l’ultimo, Leña Brava, aperto nel 2016), perfino l’Ordine dell’Aquila Azteca, la più alta decorazione concessa a cittadini stranieri in Messico. Alcuni utilizzano la propria competenza per fare colpo sul prossimo. Bayless, invece, sembra essere guidato dalla passione — è come se desiderasse che il suo interlocutore fosse ispirato dalla cucina messicana quanto lo è lui. Questa è una delle ragioni del suo successo televisivo e spiega perché lui e Deann organizzino questi viaggi in Messico per le brigate dei ristoranti varie volte all’anno. «Avevamo aperto da un anno e mezzo, quando Rick me lo propose», spiega Deann. «Così possiamo far capire davvero ciò che facciamo, far vivere in prima persona le nostre stesse esperienze». 

Ecco com’è andata: una volta arrivati, ci siamo recati di corsa a Ensenada per tacos (davvero eccellenti) e tostadas di pesce, abbiamo superato le colline rocciose fino alla vera e propria Valle de Guadalupe, visitato a due aziende vinicole (Bodegas Henri Lurton, di proprietà della famiglia francese Lurton ma i cui vini sono prodotti da Lulú Martinez Ojeda, nativa di Ensenada, e Adobe Guadalupe), ci siamo sistemati nelle lussuose tende da “glamping” (bellissime, ma rimangono comunque tende) di Cuatro Cuatros e quindi ci siamo recati da Animalón per una cena di otto portate che è durata fino a mezzanotte. Ecco perché “assonnati” (Bayless si era svegliato alle 6 di mattina per fare yoga). Adesso, mentre stiamo arrivando a Villa Montefiori, proprietà del viticoltore Paolo Paoloni, lo chef conclude allegramente la sua disamina su Animalón: «Fare la maionese con le chicatanas, quelle piccole formiche dal sapore di nocciola, è una mania da queste parti. Però, bisogna dire che è un ottimo metodo per nascondere gli insetti — per evitare di chiedere ai clienti di mangiarli interi. Anche i più schizzinosi la proveranno». Un consiglio da tenere presente per il futuro, giusto?

Nelle valle di guadalupe, racconta Paoloni, il vino dipende dall’acqua. O meglio, dalla sua mancanza. Siamo nella sua nuova, ancora incompiuta, sala di degustazione, con un bicchiere di Chardonnay fresco in mano che profuma di mela verde. Dalle finestre senza infissi spira il vento che ci arruffa i capelli. Quel vento, oltre all’irrigazione, gioca un ruolo fondamentale: la Valle non si affaccia direttamente sull’oceano Pacifico, ma la sua prossimità ne mitiga le alte temperature, ed è la ragione per cui qui si possono coltivare uve di altissima qualità senza che il sole le bruci. «La nostra è una regione semidesertica», dice Paoloni. «Non siamo il Brasile, abbiamo bisogno di acqua». Le precipitazioni medie nella valle di Guadalupe sono di 25 centimetri all’anno, ci spiega. «In Napa Valley cadono 125 cm di acqua all’anno. Se ne cadono solo 30, aiuto, la siccità! Lo scorso anno da noi? 10 cm in tutto». Vent’anni fa, quando Paoloni aprì la sua azienda, erano in 10 a produrre vino nella valle. Adesso i produttori in zona sono più di 100. La crescita del turismo è ancora più vertiginosa — oggi ci sono decine di hotel e ristoranti. Ma non aspettatevi il lustro della California del nord. La chiamano la “nuova Napa”, ma qui le strade sono per lo più sterrate e molti del posto vorrebbero che rimanessero così. Il vino non è una novità, da queste parti. I gesuiti spagnoli, infatti, piantarono le prime viti della zona nel 1701. La recente proliferazione di aziende vinicole, però, ha il suo fondamento nella rivoluzione culinaria cominciata nel 2001, quando lo chef Jair Téllez — la cui carriera è cominciata sul circuito automobilistico di Tijuana, ed è progredita in seguito con esperienze da Daniel a New York e La Folie a San Francisco — ha aperto il ristorante Laja. Sembrava l’avventura di un folle in una terra desolata e polverosa, invece ha ispirato una moltitudine di colleghi chef e, più tardi, di produttori di vino.

Il nostro ultimo vino a villa montefiori, il Nebbiolo de Guadalupe 2014 di Paoloni, presenta sentori di rose e mirtilli. Ampiamente fruttato, come Bayless spiega al suo gruppo questo vino è «come un grande abbraccio che racchiude tutti questi magnifici sapori». Un’altra cosa a proposito di Rick Bayless: è tanto appassionato di vini messicani quanto lo è della cucina. Da qui torniamo indietro attraverso le colline fino al birrificio Aguamala a Ensenada — anche la birra artigianale è arrivata a Baja — visitiamo l’azienda vinicola Vena Cava, beviamo un cocktail al bar con vista sul Pacifico di Cuatro Cuatros al tramonto e concludiamo la nostra giornata con un’altra degustazione, questa volta da Deckman’s en el Mogor. Stiamo cenando “in stile Valle”: all’aperto, con una brezza leggera dal Pacifico, il dentice arrostito a fuoco vivo e per dolce un flan. Quest’ultimo scatena una discussione animata su pro e contro delle texture tremolanti: «Oh, mi mettono ansia», dice la chef Kimberly Olson. «Flan, panna cotta, tutta quella roba». «Veramente?», «Veramente». «A me, personalmente, non dà alcun fastidio il cibo molliccio», dice Bayless e, non si sa come, questo gli vale il soprannome di “Mister Molliccio” per il resto del viaggio. Poi — bum! — è mattina. Colazione da La Cocina de Doña Esthela: carne essiccata pestata con pomodori, cipolle e peperoni (machaca); agnello stufato per ore, arrostito e sfilacciato (borrego tatemado); fagioli (Bayless: «I fagioli preferiti nel nord del Messico sono quelli di colore più chiaro. Nel sud del paese preferiscono i fagioli neri»); spettacolari tortillas fatte in casa; gorditas con chorizo; pancakes di mais con miele. 

Torniamo sul pullman tramortiti, ed è già arrivato il momento di degustare altri vini. E di porre la domanda: che cosa pensate della definizione “nuova Napa”? Camillo Magoni, capo cantina di L.A. Cetto per 49 anni e ora proprietario della cantina omonima, alza le spalle. «Perché dovremmo paragonarci a qualcuno? Abbiamo molti punti di forza! Non esiste una regione simile alla Valle». Questa unicità si esprime anche nei vini, come il suo pepato assemblaggio di Cabernet e Sangiovese, che la sommelier Leslie LaRue Lamont versa al bicchiere da Leña Brava. È senza dubbio nello stile della Valle: rossi fruttati e dinamici, bianchi quasi tutti senza passaggio in barrique, provenienti da una gran varietà di uve selezionate liberamente. «Si possono coltivare così tante cose qui», afferma Magoni. «Ho cominciato a sperimentare nuove varietà di uva nel 1967 e continuo a farlo oggi. Siamo ancora in evoluzione». 

È mezzogiorno fuori dal ristorante TrasLomita, lucertole nere fanno le flessioni sulle rocce sotto il sole. Su-giù, su-giù, su-giù. Se non sudi (per esempio, se sei una lucertola) è un’ottima pratica per abbassare la temperatura corporea. A mio parere, il nostro metodo è il migliore: sedersi a grandi tavoli di legno, tra cespugli di lavanda e rosmarino, sotto grandi ombrelloni sorseggiando un fresco Sauvignon Blanc e, durante il nostro ultimo pranzo nella Valle, giocare a “Tu che vino sei?”. Deann Bayless dà inizio ai giochi: «Io mi sento molto rilassata. Sarei uno chardonnay non passato in barrique». Lisa Carlson, la manager del birrificio di Bayless, Cruz Blanca, decide per un Sauvignon Blanc “proprio come questo”. Il manager di Leña Brava, Matt Morin: «Vado in un’altra direzione e dico un vino naturale». Si alza un coro di “no!” scandalizzati, e qualcuno gli lancia anche un tovagliolo. «Perché? Cosa ho detto di male?», chiede lui, con aria innocente. Lamont, la sommelier, continua il gioco: «Sangiovese rosé. Quello che abbiamo assaggiato da Paoloni. Perché ha sostanza, non solo apparenza». Quando arrivano, le portate della chef Sheyla Alvarado sono magnifiche: gamberi e capesante incredibilmente freschi in aguachile di habanero e tomatillo; tortas farcite con calamari fritti e maionese al limone; il pollo arrosto, piatto forte della chef, frollato all’aria per tutta la notte, procedura che rende la pelle croccantissima; mais grigliato con maionese all’epazote, spolverizzato di formaggio cotija sbriciolato. TrasLomita sorge nella stessa proprietà dell’azienda vinicola Lomita, e non a caso il proprietario Fernando Pérez Castro stappa bottiglie e le distribuisce. Il loro delizioso Pagano Grenache dai sentori di fragola si conferma uno dei migliori vini assaggiati durante questo viaggio.

 L’esperienza del pranzo  all’aperto, l’aria pura, il vino che scorre e la cucina — ambiziosa e profondamente tradizionale al tempo stesso — è la sintesi perfetta dello spirito della Valle. Anche se qui, per l’unica volta, Bayless non ha la risposta a una domanda. Succede davanti a una croccante tostada con cavolo e corvina grigliata. Qualcuno chiede: «Corvina? Che cos’è?». «Corvina è il solo nome che conosco», risponde Bayless. «Non so se esistano altri modi di definirla». «C’è qualcosa a cui potresti paragonarla?». Bayless si ferma a riflettere. Siamo tutti in attesa. Poi lui, scrollando le spalle: «Mah, un pesce squisito?». Anche quando è incerto, questo signore ha un aplomb perfetto.

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