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Le saline di Mozia

Presidio Slow Food dalle straordinarie caratteristiche organolettiche, è prodotto ancora oggi con tre soli ingredienti: sale, acqua di mare e lavoro di braccia. Una giovane cuoca americana, trapiantata in Sicilia, ci porta alla scoperta dell’“oro bianco” del trapanese

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Nella mia cucina il sale marino è un ingrediente fondamentale. La mia collezione di vasetti, bustine, scatolette di latta e scodelle straripa dal bancone: sale grosso per cuocere la pasta, sale fino per quasi tutto il resto, fior di sale e fiocchi di sale Maldon da cospargere delicatamente su piatti finiti, con un lento e ipnotico fruscio delle dita. Sembra banale, una voce elencata in ogni singola ricetta, ma è molto di più. Il sale esalta gli aromi naturali nel cibo. Se usato correttamente, rende i sapori più intensi e dona profondità. Marcella Hazan, storica guru della cucina italiana nel mondo, era solita dire che «quando viene usato con giudizio non è il gusto del sale che si percepisce, bensì il naturale sapore, inalterato, che il sale e solo il sale può estrarre dagli ingredienti puri» (la chef e autrice Samin Nosrat gli ha dedicato un capitolo nel suo recente bestseller “Salt, fat, acid, heat”, Simon&Schuster, ndr). Una volta approdata in Sicilia, dove ora vivo e dove da diverso tempo lavoro, ho scoperto che ci vuole quasi un anno intero per produrre sale marino. A un certo punto ho deciso che dovevo saperne di più. Mi sono messa in viaggio (abito a Palermo) e dal porto di Trapani mi sono diretta verso Marsala, puntando verso la costa occidentale. Il tratto di costa che scorre dal porto di Trapani oltre la piccola isola fenicia di Mozia fino all’aeroporto di Birgi è tappezzata da un patchwork di basse vasche. Sparse tra vecchi mulini a vento ci sono grandi piramidi bianche di sale che asciuga sul ciglio della strada. In altre parti d’Italia le saline sono pubbliche, ma qui in Sicilia sono affittate privatamente solo da otto famiglie produttrici. 

I salinai sono veri e propri contadini; grandi lavoratori in condizioni difficili, dediti alla loro terra, con un forte desiderio di creare un prodotto di cui essere orgogliosi. Qui in provincia di Trapani i loro “campi” sono le saline e la loro “agricoltura” è il sale. Appena fuori città, mi sono fermata a visitare i fratelli Gucciardo, Salvatore ed Enzo, la cui famiglia produce sale marino a Trapani dal 1884. Prima di trasferirmi in Sicilia, quando vivevo a New York, il loro sale marino era l’unico che usavo in cucina. Ho rintracciato il loro numero di cellulare dal mio importatore nel Bronx, ho fatto una telefonata in italiano stentato spiegando chi ero, chiedendo se potevo andare a trovarli. Ovviamente la risposta di Salvo è stata: “Certo!”. Trapani è luogo vocato per l’estrazione di sale marino e il clima e la posizione spiegano perché. Le lunghe estati calde, i venti forti e secchi provenienti dall’Africa settentrionale, l’umidità di questo particolare ambiente e l’alta salinità del Mar Mediterraneo rappresentano le condizioni ideali per una storia d’amore tra sole e acqua. In questa zona si produce sale “integrale” da secoli e la prima traccia scritta risale all’anno 1000. Il sale marino artigianale siciliano è famoso in tutto il mondo per la caratteristica di non essere trattato, non raffinato e naturalmente ricco di magnesio e potassio, oltre che di iodio. Non viene estratto industrialmente utilizzando trattamenti chimici, attrezzature meccaniche o forni per l’essiccazione, non viene lavato: se lo si raccoglie correttamente, basta la natura a fornire tutti gli strumenti necessari per realizzare un ottimo prodotto locale. È molto più sapido di altri sali e, stando a quanto dice Salvatore, ha anche un minor contenuto di sodio. Il processo di produzione del sale marino artigianale richiede quasi un anno intero e ogni parte del ciclo produttivo è altrettanto importante. 

I salinai lavorano durante i mesi estivi, sotto il caldo, inclemente sole siciliano, rompendo grossi cristalli e usando carriole e pale per spostarlo – come operai edili con pezzi di pietra. Questo non è un lavoro da laboratorio, l’acqua non è riscaldata per accelerarne l’evaporazione, nulla è tolto e nulla aggiunto. Questo è sale essiccato al sole. Tutti i salinai che ho conosciuto durante la mia visita erano uomini di età compresa tra i 40 e i 70 anni che avevano fatto questo lavoro per tutta la vita. Erano abbronzati e la loro pelle scura e levigata come cuoio. Le loro minuscole sagome scure punteggiavano quella che sembrava un’enorme coltre bianca di neve. Il procedimento di estrazione inizia in primavera quando i canali si aprono e i bacini iniziano a riempirsi naturalmente di acqua di mare. La prima sezione delle saline è profonda circa 50-80 cm, e mantiene la stessa temperatura del mare, ma è ancora piena di pesci, crostacei e alghe. Entro un mese, il sale comincia a formarsi sul fondo delle vasche naturali. Quando l’acqua inizia a evaporare, viene spostata di volta in volta in quattro diverse vasche di minore profondità fino all’inizio dell’estrazione vera e propria, a fine estate. In passato si utilizzavano i mulini a vento per spostare l’acqua. Oggi l’unica macchina utilizzata è una pompa idraulica elettrica e un nastro trasportatore per spostare il sale sui mucchi che si vedono dalla strada. Quando l’acqua si asciuga, lo strato superiore di sale diventa spesso, come la superficie di un lago ghiacciato. 

Sul lato delle vasche, dove il sale non è ancora completamente asciugato, gli uomini usano una pala piatta per romperlo in zolle, scavando e girandolo. Quando ho visitato la produzione era periodo di raccolta: gli uomini rompevano i cristalli di sale con la pala e scavavano piccoli fossati per lasciare che l’acqua continuasse a scolare mentre il sale si asciugava in superficie. Un secondo gruppo di lavoratori si muoveva dietro il primo, spalando le zolle di sale all’interno delle carriole, per poi trasportarle dalle vasche al nastro trasportatore, e infine sui mucchi ad asciugare prima di essere setacciate e macinate. Alla fine della vendemmia, le bianche montagne di sale pulito sono coperte con piastrelle di terracotta che lo proteggono finché non è tempo di setacciare e macinare. Dopo 2-3 mesi di essiccazione all’aria aperta, il sale è confezionato e pronto per essere venduto in Italia e all’estero. Dal 1995, i 986 ettari delle Saline di Trapani e Paceco sono protetti dal WWF Italia attraverso una partnership con la Regione Sicilia. Questo terreno è un micro-ecosistema vivente che respira e cambia continuamente, con il passaggio di pappagalli grigi, fenicotteri, anatre selvatiche e aironi, uccelli migratori che mangiano il pesce, e poi crostacei, farfalle e altri insetti. Tutto funziona in equilibrio perfetto. Siamo fortunati perché il lavoro svolto dai salinai qui non crea solo un meraviglioso prodotto per la cucina, ma aiuta anche a migliorare l’ambiente, mantenendo le saline in condizioni favorevoli al prosperare di una particolarissima flora e fauna locale. Cerco di ricordare a me stessa, quando sono in cucina, che il mare ha creato tutto questo. Gli unici veri ingredienti dovrebbero essere sempre e solo acqua di mare e sole. E “lavoro di braccia”. 

 

Fotografie di Linda Sarris, Shutterstock