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tamarindo foto di Greg DuPree

Sour Power

Imparate a dare carattere ai vostri piatti usando il tamarindo, uno degli ingredienti più versatili e amati al mondo.

È dolce, intenso e aspro allo stesso tempo. Dona equilibrio, intenerisce e ha anche proprietà curative. Una descrizione che potrebbe facilmente riassumere la complessità dell’amore. E invece, in questo caso, sto parlando del tamarindo, il versatile ingrediente che ravviva e mette in risalto tutto ciò che tocca. Il tamarindo riesce a inserire una provvidenziale nota acidula nel più zuccheroso dei dessert e a infondere una deliziosa, dolce asprezza in piatti piccanti e saporiti che poi soddisfano tutti i commensali. Quanto ti amo, tamarindo? Ora ve lo racconto. Sono sempre stata una fan dell’agrodolce. Grazie alla mia discendenza in parte indonesiana, considero il tamarindo uno dei capisaldi della mia cucina; uso molto il frutto carnoso, simile a un baccello, in zuppe come la ikan kuah asam (Zuppa timorese di pesce e tamarindo), per insaporire la salsa di arachidi o il piccante condimento al peperoncino chiamato sambal, e in una serie di piatti agro-piccanti conosciuti come asam pedas, a base di tamarindo e peperoncino. In svariate culture gastronomiche è un ingrediente comune quanto il lime o il limone, ma il tamarindo ricopre spesso funzioni ancora più significative.

Originario dell’Africa, l’albero di tamarindo viene coltivato da migliaia di anni nelle aree tropicali del pianeta, tra cui l’Asia, i Caraibi e l’America centrale e meridionale. Può arrivare a 24 metri di altezza e vivere fino a 200 anni, con un rendimento di oltre 170 chili di frutta ogni anno. Le fronde dell’albero di tamarindo creano una copertura d’ombra simile a quella delle felci, grazie alle foglie quasi piumate che si aprono al mattino e si chiudono di sera. Un membro della famiglia dei piselli (Fabaceae), quest’albero delle leguminose produce un frutto pendente racchiuso in un baccello sottile e bulboso, simile a un dito di colore marrone chiaro, bitorzoluto e lungo tra i 10 e i 20 centimetri. All’interno c’è la polpa, una massa appiccicosa e fibrosa dalla consistenza simile a quella dei datteri, rivestita da venature e filamenti che proteggono fino a una dozzina di semi, a seconda di dove viene coltivato. Nessuna parte di questo sempreverde va mai sprecata e la sua versatilità contribuisce alla sua magia. Nei secoli, la letteratura ne ha immortalato la bellezza (Edgar Allan Poe scriveva di «un sogno estivo sotto l’albero del tamarindo»), e molte culture addirittura lo venerano. Quest’albero, ad esempio, è sacro per il popolo Bambara del Mali, dove è simbolo di abbondanza e rinnovamento. In Birmania, alcuni lo ritengono la dimora del dio della pioggia e nel buddismo rappresenta fedeltà e tolleranza. Se il legno del tamarindo è perfetto in falegnameria, la sua polpa può servire a lucidare gli ornamenti di metallo dei templi buddisti. In India, le foglie vengono infuse in tisane che alleviano il mal di gola, oppure impiegate per dare un tocco fresco e aspro ai curry e ai chutney, mentre i semi vengono macinati e usati come agente lievitante per il pane. Nei Caraibi, invece, questi sono semplicemente tostati e sgranocchiati come snack.

Nonostante si possano utilizzare tutte le parti dell’albero, è il frutto – quello contenuto nei baccelli – che ha il più ampio utilizzo in cucina, offrendo una vasta gamma di sfumature di sapore, sempre diverse e interessanti. Quello acerbo è verde e molto aspro, ma piano piano, maturando, si scurisce e addolcisce. Quando è al massimo della maturazione diventa quasi del tutto dolce, con giusto un accenno di acidità. In Messico e nei Caraibi i frutti più maturi sono colti dagli alberi e aperti al momento per gustarne la dolce polpa, che è amata in egual misura da adulti e bambini: mescolata a zucchero di canna e impastata a mano, diventa la specialità caraibica conosciuta come tamarind ball, a volte insaporita anche con un po’ di pepe macinato o rum. Nello stadio intermedio di maturazione il tamarindo ha un colore tra il marrone e il rosso chiaro, con un sapore intenso e piacevolmente aspro e un retrogusto pungente e rinfrescante che ricorda il caramello e la frutta gialla essiccata. Così è il tamarindo nella sua forma più diffusa, quella che uso più spesso in cucina. Ingrediente chiave in gran parte delle ricette del sud e sud-est asiatico, il tamarindo maturo esalta zuppe, curry, riso, stufati e stir-fry – ad esempio, è uno degli ingredienti principali del Pad thai. Inoltre, è il tamarindo che dona alla salsa Worcestershire il suo carattere così distintivo. Nell’Africa occidentale, i baccelli vengono fatti sobbollire con riso e pesce nella thiéboudienne, il piatto nazionale senegalese, e in molti altri. Uno dei pregi del tamarindo è che sprona i cuochi amatoriali a imparare l’arte del bilanciamento dei sapori. Da solo ha un gusto per lo più aspro, e offre tutta l’acidità che serve a qualsiasi portata, mentre ha bisogno di essere dosato con cura per esaltare dolcezza, sapidità, sentori amari, piccanti e umami. Questo prodotto gioca un ruolo chiave nell’arrotondare il gusto di un piatto senza sopraffare gli altri sapori e, al contrario di altri portatori di acidità come il lime o il limone, può essere cotto a lungo senza che il suo sapore si modifichi o deteriori. Impiegato come marinata nel mio Pollo al tamarindo laccato e dall’aroma affumicato, l’alto quoziente acido di questo ingrediente stratifica i sapori rendendo al contempo la carne più tenera. Il caratteristico aroma pungente del tamarindo maturo spicca anche nei dolci, bilanciando l’intensità del caramello nei miei Millionaire’s shortbread al tamarindo, conferendo complessità e acidità fruttata alle torte e un bel contrasto addirittura alle caramelle. Miscelato ad acqua e zucchero si trasforma nella rinfrescante e popolare agua de tamarindo messicana e, con l’aggiunta di aromi come vaniglia o zenzero, diventa un dissetante succo tipico dei paesi caraibici o africani, da Il Cairo alla costa Swahili. Unito a lemongrass e foglie di combava, lo adoro come base per un Arnold Palmer o un Daiquiri al tamarindo. Questo frutto regala le sue ammalianti note acidule alle cucine di tutto il mondo: è un ingrediente magico che ha il potere di curare, dissetare e farci storcere la bocca (ma solo per il suo gusto inaspettato). E, come le più belle storie d’amore, è ricco di sfaccettature e pieno di possibilità.

Una guida al tamarindo

Il frutto del tamarindo si può acquistare in blocchi di polpa confezionati singolarmente in cellofan, in barattoli o altri contenitori. È venduto come pasta, purea o concentrato, o ancora in baccelli freschi o essiccati. Per ottenerne un sapore più concentrato per le ricette che seguono, suggeriamo di preparare in anticipo dell’Acqua al tamarindo dalla polpa o dai baccelli.

  1. Baccelli
    I baccelli di tamarindo interi sono diversi a seconda del momento in cui sono stati colti. Il tamarindo verde, acerbo e aspro, è quello più acidulo. Quello maturo è di colore marrone, con note sempre ben aspre ma un gusto piacevole. Il tamarindo più dolce si può mangiare direttamente dai baccelli, reperibili nei mercati etnici, nei negozi asiatici o anche online.
  2. Polpa
    La polpa essiccata di tamarindo si trova in vendita in blocchi confezionati in cellofan, contenenti sia la membrana che i semi dei baccelli. Una volta che la polpa entra a contatto con l’aria inizia a ossidarsi, motivo per cui questi blocchi hanno un colore che va dal marrone al marrone scuro, fino al nero.
  3. Paste
    Nelle paste non ci sono semi, restano umide e sono prodotte con la polpa di tamarindo diluita in acqua, il che le rende facili da utilizzare nei piatti. Le paste di buona qualità dovrebbero contenere solo tamarindo, acqua e (qualche volta) conservanti, ma nessun colorante artificiale, dolcificante o sciroppo di mais. I nostri assaggiatori hanno apprezzato la pasta di tamarindo di marca Suree, che si vende in panetti.
  4. Concentrati
    I concentrati di tamarindo sono densi, di colore nero e con una consistenza simile a quella della melassa. Il sapore intenso dona un’esplosione di gusto alla marinata per il Pollo al tamarindo e anche al caramello dei Millionaire’s shortbread al tamarindo. I concentrati, volendo, si possono diluire in acqua per ottenere un sapore simile a quello dell’acqua al tamarindo. Cercate la marca Tamicon.
  5. Surgelati
    Esiste anche il tamarindo surgelato che, non essendo zuccherato, è meno intenso; ne va quindi usato un po’ di più quando si cucina. Più fluido e dal sapore più blando rispetto alle altre versioni, va semplicemente scongelato prima dell’uso.
  6. Polvere
    E per finire c’è la polvere, ottenuta da tamarindo disidratato e macinato. Pungente e molto concentrata, può essere utilizzata per dare sapore a piatti, bevande, salse e perfino caramelle, se la ricetta lo prevede. Non può però sostituire la pasta, il concentrato, i baccelli o la polpa.

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Foto di Greg DuPree

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