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Funghi misti

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Tutti pazzi per i funghi

Avete presente quei cestini avvolti nel cellophane in cui sono venduti i funghi al supermercato? Bene, negli Stati Uniti quei funghi arrivano in gran parte da Kennet Square, una piccola città nella Pennsylvania del sud.

Tra il 2019 e il 2020, la Pennsylvania ha venduto oltre due milioni di quintali di funghi, circa i 2/3 del totale di quelli smerciati negli Stati Uniti, e la maggior parte erano stati prodotti dalla Chester County, la zona circostante Kennet Square. La cittadina ha un fungo dipinto sul serbatoio idrico comunale, un festival annuale dedicato ai funghi e un negozio di souvenir chiamato The Mushroom Cap, dove gli appassionati possono acquistare qualsiasi tipo di oggetto dedicato al prodotto inclusi spazzole fatte a mano per pulirli e calzini con su scritto “Shiitake happens”. Ed è cosi che, in una giornata di marzo sorprendentemente calda, mi sono ritrovata alla Laurel Valley Farms della Chester County, su un tetto con vista su un enorme campo di concime. Qui è dove nascono i funghi.
La prima cosa da sapere sui funghi coltivati è che non crescono su ciò che, per dirla in termini eleganti, chiamiamo “escrementi”. Invece attecchiscono su quello che comunemente viene detto substrato – un mix accuratamente formulato di concime pastorizzato (che può includere a volte deiezioni animali tra gli ingredienti). Al contrario delle piante, i funghi non fanno la fotosintesi e devono assumere il proprio nutrimento dal materiale su cui si sviluppano, ecco perché questo sottostrato è incredibilmente importante. Ogni coltivazione di funghi ha una propria formula per produrre il substrato da inoculare con le spore che poi, grazie alla gestione controllata dei livelli di umidità e temperatura, si tramuteranno nel prodotto successivamente impacchettato e spedito ai supermercati del Paese. Laurel Valley, la più grande società di compost per funghi degli Stati Uniti, è una cooperativa di proprietà delle cinque delle più grosse coltivazioni specializzate della zona. Jim Angelucci, il general manager delle Phillips Mushroom Farms, uno dei comproprietari di Laurel Valley, mi porta a fare un tour delle lavorazioni, indicandomi i vari elementi del substrato mentre il sole cocente del pomeriggio picchia sui 24 ettari di concime generando una cortina fumosa. I mucchi sullo sfondo, mi spiega Angelucci, sono un mix di torsoli di granoturco, rifiuti degli allevamenti di pollame, pacciame e fieno, stallatico, paglia, gesso e gusci di cacao della vicina fabbrica di dolciumi della Hershey. «Dona al compost un aroma al cioccolato», scherza Angelucci. Dopo essere stato mescolato, pastorizzato e ottimizzato per quanto riguarda temperatura e livelli di pH, nel substrato viene inoculato il micelio formato dalle spore (la coltura sulla quale i funghi crescono, formulata individualmente da ogni società). Il compost viene poi distribuito alle fungaie dell’azienda per continuare il ciclo vitale. Laurel Valley produce circa 3.700 – 3.900 tonnellate di concime inoculato alla settimana. «La qualità dei funghi dipende da tre cose», mi ha spiegato Angelucci. «La varietà, le caratteristiche del substrato e l’arte di chi li coltiva». Una è in bella mostra a Phillips, fattoria di funghi attiva da quattro generazioni che ne vende oltre 25 milioni ogni anno. I più popolari tra quelli che producono sono di gran lunga gli champignon bianchi, seguiti da quelli che Angelucci chiama i “marroni” – cremini e portobello; questi ultimi sono lo stesso tipo di fungo colto in momenti diversi della maturazione. Crescono tutti e tre nello stesso ambiente – magazzini lunghi, bassi, poco illuminati con dentro file di letti di compost su diversi livelli. Le lettiere sono larghe un metro e mezzo e lunghe 18, 6 file in altezza e 24 in lunghezza, e somigliano a tinozze piene di pezzetti di biscotti Oreo finché, avvicinandosi, si notano le testoline bulbose che spuntano dallo scuro substrato striato di torba e muschio, come piccolissimi, ingarbugliati filamenti di fioche lampadine. Phillips è anche il maggior produttore di specialità come grifole frondose, shiitake, cardoncelli, funghi ostrica e i curiosi “criniera di leone” o “testa di scimmia” (Hericium erinaceus). Angelucci mi porta in giro a vedere come crescano in modo diverso gli uni dagli altri – gli shiitake sbucano fuori da tronchi artificiali; le criniere pelose degli Hericium erinaceus fanno capolino dalle buste di plastica piene di compost; i funghi ostrica blu, gialli e grigi emergono da un alto mucchio di substrato come dei cactus extraterrestri. Anche se queste varietà rappresentano una piccola parte degli affari della fattoria, un’inezia al confronto dei più comuni funghi bianchi e marroni, l’interesse dei consumatori è cresciuto negli ultimi anni – parte di un’apertura diffusa verso tutto ciò che è mico-logico: oltre al boom nel settore della gastronomia, l’attenzione alle proprietà medicinali e funzionali dei funghi per la salute e il benessere è cresciuta esponenzialmente.

«Questi funghi esistono da sempre; con la crescita della domanda in generale anche l’attenzione verso queste varietà è aumentato», mi spiega Eric Davis del Mushroom Council. «Sono tutti popolari nello stesso modo – non è che gli shiitake stiano soppiantando gli champignon come le mele Honeycrisp hanno sostituito le Red Delicious». «Per me, la cosa fondamentale è la texture», dice James Wayman, chef e proprietario di Grass & Bone e Nana’s Bakery & Pizza a Mystic, nel Connecticut, che di solito utilizza sia funghi coltivati sia quelli raccolti nei boschi.
«Quale sarà la loro consistenza una volta cotti? I più comuni – champignon, portobello, cremini – sono più pieni d’acqua. Gli shiitake sono più densi, per questo sono perfetti nelle zuppe. Bisogna pensare a quale tipo di cottura sia la più giusta.» I funghi coltivati hanno in genere un gusto più delicato rispetto ai loro equivalenti selvatici, spiega Wayman. Quando si avvicina a una varietà che non conosce bene, di solito utilizza un metodo sicuro – frigge i funghi nel burro e un poco di olio di oliva, aggiungendo aglio e prezzemolo e sfumandoli con una punta di acidità, per esempio con dell’aceto di Sherry, a fine cottura.
«Si può usare questo trucco con qualsiasi cosa; è molto versatile.» Quando me ne sono andata dalla Phillips Mushroom Farms ho portato via con me, senza esagerare, circa 10 chili di funghi appena colti, una cassetta di ciascuna delle specialità saldamente fissata sul sedile posteriore con le cinture di sicurezza. Durante la settimana successiva ho fritto, saltato, grigliato, arrostito e polverizzato i funghi in vari tipi di combinazioni per cercare di comprendere i loro molteplici elementi strutturali. Ho capito che le grifole frondose, chiamate anche maitake, sono eccellenti grigliate o arrostite intere. Hanno dei viticci simili a foglie che diventano croccanti come le parti più esterne dei cavoletti di Brussel mentre la base si fa tenera e carnosa, un veicolo ideale per la salsa. I funghi testa di scimmia sono ottimi affettati e saltati in padella, perché così il loro interno delicato e leggermente fibroso viene valorizzato come succede alla polpa delle chele dei granchi. Ho poi notato che i funghi ostrica, più densi e con una consistenza quasi simile al pollo, resistono bene sulla griglia e sono un’ottima aggiunta a pasta o riso. Ho anche maturato un nuovo rispetto per gli umili champignon, che ho mangiato crudi, gustando la loro gentile cremosità e il timido cigolio che fanno quando si mordono, come le cagliate fresche dei formaggi.

Nonostante la maggioranza dei funghi che si trovano negli Stati Uniti provenga da grosse compagnie come Phillips, c’è una proliferazione di piccoli produttori che li vendono nei mercatini rionali. Coltivare funghi richiede un ambiente controllato e conoscenze specifiche ma cominciare è piuttosto semplice, come dimostra William Padilla- Brown, allevatore di funghi autodidatta, imprenditore e citizen scientist. La passione di Padilla-Brown per i funghi cominciò quando era un teenager. «Volevo sapere da dove arrivassero le cose, ero vegetariano e volevo mangiare più proteine», spiega. «Cominciai a cercare chi potesse insegnarmi a coltivarli. Non c’era nessuno dalle mie parti così feci qualche ricerca e iniziai a sperimentare su come crescerli in casa». A 18 anni, Padilla-Brown fece spuntare il suo primo champignon in un ambiente che aveva creato usando pose di caffè e cartone in una busta di plastica per alimenti. Questi esperimenti iniziali si sono evoluti in MycoSymbiotics, la società di eco-ricerche con la quale coltiva e studia diverse varietà minori di funghi medicinali e commestibili, che poi vende nei mercati di quartiere. Organizza anche un festival annuale e ha scritto due libri sulle scoperte fatte coltivando il fungo Cordyceps, una varietà dal colore arancione vivo che sembra la versione fatta fungo di uno snack di mais e formaggio Fonzies. Alla lunga è diventato un influencer in materia e non ha mai smesso di imparare sull’argomento.
«Sto cercando di arrivare al punto di individuare il terroir nei funghi», racconta Padilla-Brown. «Quando cominci, sa tutto di “note di sottobosco” finché non riesci a descrivere le più piccole differenze di gusto e il tuo palato impara». Quando cominciò a vendere nei mercatini, molti clienti rimanevano perplessi davanti ai funghi ostrica, i testa di scimmia e i Cordyceps che aveva sul banco, perché non assomigliavano per niente ai più comuni champignon. «La micofobia esiste sul serio», afferma. «Molti pensano che, visto che da bambini non amavano i funghi sulla pizza, allora tutti i funghi siano disgustosi allo stesso modo. Ma ci sono talmente tante consistenze e sapori». Per Padilla-Brown, coltivarli non è solo un modo per guadagnarsi da vivere – è potenzialmente un atto rivoluzionario. Il suo scopo è di renderne la coltivazione alla portata di tutti, ma soprattutto delle comunità di colore, incoraggiando la creazione di quello che chiama micro-industrie sostenibili ecologicamente rigenerative. Condividere le proprie conoscenze sulla coltivazione con i futuri micologi fai da te, nella speranza che i funghi coltivati possano essere un modo per sconfiggere l’apartheid del cibo, è parte integrante della sua missione. Con MycoSymbiotics vende attrezzature per coltivare i Cordyceps. Organizza seminari e workshop su come avvicinarsi alla coltivazione e alla raccolta e ha un notevole seguito su YouTube e Instagram, dove spiega i suoi metodi e mostra soluzioni a basso costo e con tecniche di base ai più comuni problemi legati alla coltura. Se volete cimentarvi con l’impresa, non importa quale sia lo spazio a vostra disposizione o il budget, Padilla-Brown ha senz’altro dei consigli utili a riguardo. «Non c’è bisogno di milioni di dollari di investimento e un grosso capitale a rischio per cominciare. Appena inizi a divertirti un po’, ti rendi conto di come sia più che fattibile anche per te», mi spiega. «Sono un giovane uomo di colore che non ha finito neanche le superiori. Avrei dovuto fallire; non avevo un modello da seguire. Che adesso io abbia un lavoro e riesca a sfamare mio figlio credo sia possibile, tra le altre cose, grazie al potere dei funghi».

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