Cerca
Close this search box.

HOTEL: NUOVA DESTINAZIONE

Dalla colazione al pranzo al drink after dinner, anche in Italia l’albergo si apre ai locals e diventa luogo di riferimento e di attrazione per esperienze gourmet a tutto tondo

hotel-nuova-destinazione-st.regis-rome

Un esperto viaggiatore che si rispetti ha almeno due grandi certezze: la perfetta alchimia comfort di un club sandwich, piatto globale e icona di hôtellerie per antonomasia ma soprattutto panacea di qualsiasi disagio da jet-lag; e lo sgabello del bancone del bar di un hotel, il luogo più confidenziale che esista per scambiare chiacchiere con colleghi traveller (sconosciuti) mentre si sorseggia un Manhattan da manuale della miscelazione. Pochi luoghi sono carichi di suggestioni letterarie e cinematografiche come i grandi alberghi. Luoghi, però, che per molte stagioni, almeno in Italia, sono stati anche capaci di far sbadigliare per la convenzionalità dell’offerta enogastronomica. O di presentarsi come recinti per turisti (di lusso s’intende) dove i locals non mettevano piede. L’industria alberghiera, già da molte stagioni, sta cambiando vertiginosamente le regole del gioco: ha capito che sul tavolo dei ristoranti (e sul bancone del bar) si disputa la partita più importante per attrarre i viaggiatori più smaliziati e, allo stesso tempo, ha aperto le porte alla città per tornare a essere un luogo strategico nella vita locale, che sia per una colazione, per un business lunch o per un aperitivo (scoprendo allo stesso tempo che un ospite dell’hotel, quando scende a cena o al bar per un drink after dinner, preferisce trovarsi gomito a gomito con il pubblico del luogo piuttosto che con soli turisti come lui). Molti hotel sono stati capaci di riposizionarsi (e a volte di riposizionare l’intera area geografica) grazie a un’offerta ristorativa di eccellenza. In Italia – da nostra consuetudine – ci abbiamo messo qualche anno in più a recepire questa tendenza internazionale. Già nel 1934, il George V e il Plaza Athenée avevano ottenuto le tre stelle Michelin (per poi perderle l’anno successivo e riconquistarle solo dopo moltissimi anni): a Parigi i grandi hotel – aggiungiamo alla lista anche il Ritz, il Meurice e il Bristol, tra i tanti – da sempre fanno concorrenza ai grandi ristoranti. Un fenomeno che poi si è allargato anche ad altre capitali europee, da Londra ad Amsterdam a Madrid per conquistare anche le nostre città in tempi molto più recenti. Dobbiamo riconoscere almeno due grandi pionieri dell’alta cucina italiana d’hotel: Gualtiero Marchesi, naturalmente, il Maestro che nel 1993 lasciò Milano per L’Albereta, in Franciacorta, inaugurando un leggendario ventennio nel Relais & Châteaux della famiglia Moretti. E Heinz Beck, che nel 1994 diventa executive chef de La Pergola, il ristorante dell’oggi Rome Cavalieri sulla sommità di Monte Mario, tre stelle Michelin dal 2006 e esempio virtuoso di ospitalità e servizio sartoriale. 

LA NUOVA SCENA GASTRONOMICA DELL’HÔTELLERIE ITALIANA 

Oggi molti dei migliori ristoranti italiani sono ospitati da strutture alberghiere che proprio dei contenuti gastronomici (dalla colazione alla cena) stanno facendo sempre più il loro principale selling point. A cambiare è stato soprattutto l’approccio culturale e l’attitudine dei cittadini. Rispetto a metropoli internazionali – dove frequentare luxury hotel a colazione o per un cocktail pre-dinner è sempre stata una consuetudine – il pubblico italiano ha sempre fatto più fatica ad attraversare le porte girevoli degli alberghi della propria città. Per una sorta di pudore e diffidenza. O perché – come detto – la sensazione di sentirsi turisti in casa propria non era poi così incoraggiante. Oggi, viceversa, il neologismo “staycation” indica proprio la tendenza a voler trascorrere una vacanza senza andare necessariamente lontano. Concetto che può comprendere, dunque, anche la voglia di vivere un’esperienza di puro edonismo in un grande albergo della propria città o, in ogni caso, della zona di residenza. Non è un caso se il brunch più ambito di Firenze è quello del Four Seasons e ad affollare le sale del Palagio sono i fiorentini stessi, ancora più dei turisti. E se la nuova lobby del St. Regis Rome (a cui abbiamo dedicato la nostra cover) dopo l’ambizioso e riuscito restyling sta tornando a essere – grazie a un’atmosfera raffinata ma ospitale – il salotto preferito per un breakfast principesco, per il classico tè delle cinque o per un aperitivo con il Bloody Mary Red Admiral (ricetta nella sezione Drink del nostro sito) sul magnifico carrello realizzato in esclusiva da Larusmiani per il bar. Così come l’Eden e la sua spettacolare terrazza stanno facendo riscoprire ai romani stessi la “Grande Bellezza” (così si chiama il bestseller tra i signature cocktail del bar) della Capitale. Sospendiamo il giudizio sull’Hassler Roma e sullo chef Francesco Apreda, per oltre dieci anni protagonisti di un matrimonio felicissimo che ora è purtroppo arrivato al divorzio. A Milano due dei ristoranti più amati sono proprio il Seta di Antonio Guida all’interno del Mandarin Oriental Hotel e il Vun di Andrea Aprea, dentro il Park Hyatt (lo chef campano ha condiviso con noi la ricetta del Tortello, ricotta di bufala, doppia concentrazione di ragù napoletano). Entrambi meritevoli di due stelle Michelin, entrambi con ingresso indipendente per i tanti clienti che prenotano (con parecchio anticipo) un tavolo senza necessariamente soggiornare nella struttura. Il giardino più bello della città è quello del Bulgari Hotel: in questo urban retreat, da pochi mesi, il tre stelle Michelin Niko Romito applica un pensiero forte e rigoroso sui classici della cucina italiana. A Venezia, infine, non è poi così difficile sottrarsi alla ristorazione più convenzionale a condizione che il vostro water taxi si diriga verso il ristorante Oro del Belmond Hotel Cipriani – qui lavora il talentuoso Davide Bisetto, capace di rompere gli schemi del repertorio lagunare con estro e intelligenza – o al Gritti Palace, sul Canal Grande, dove Daniele Turco propone una rivisitazione in chiave contemporanea dei piatti tanto amati dal Doge Gritti. Nel nostro viaggio tra i migliori hotel italiani non parliamo naturalmente solo di resort cittadini. Dalle Dolomiti alle isole siciliane, gli hotel, stagione dopo stagione, diventano una destinazione nella destinazione, capaci di attrarre gastronomi anche solo per la bontà del suddetto club sandwich – avete provato quello, da podio, di Matteo Felter, executive chef del Grand Hotel Fasano, resort 5 stelle sul lago di Garda? – o per il lavoro di ricerca sul bere miscelato – sul tema rivolgersi a due maestri come Walter Bolzonella del Bar Gabbiano del Belmond Hotel Cipriani di Venezia o Federico Morosi del Bar dell’Hotel Il Pellicano (online le ricette dei due signature cocktail creati in esclusiva per noi Mayahuel e B.B.)  – o per la contemporaneità esplosiva della cucina – sui radar degli appassionati di nuova ristorazione d’albergo c’è sempre più spesso Valentino Cassanelli, chef classe 1984 del Lux Lucis del Principe Forte dei Marmi, del cui Trancio di ricciola scottato ai sentori del mare, ceci alla nocciola e insalatina marinata, tanti dicono meraviglie. Pollice verso, invece, per la qualità media dei minibar – zeppi di prodotti commercialissimi – in molti dei principali cinque stelle della Penisola (salvo rarissime eccezioni: una su tutte, ancora una volta, è il Pellicano): è un tema evidentemente snobbato dagli F&B Manager che non capiscono quanto anche da questi dettagli si possa giudicare il lavoro di ricerca di un luxury hotel degno di questo nome. 

APRÈS-SKI 

In molti ski resort italiani hanno capito – da tempi non sospetti – l’importanza di creare un’offerta trasversale capace di conciliare attività sportive, wellness, ospitalità di livello, cucine d’autore e carte dei vini profonde e di personalità. Alta Badia e Val Gardena docent: nel giro di pochi chilometri, a cavallo del Passo Gardena, c’è un vero e proprio circuito di alberghi con ristoranti gastronomici, a cominciare dall’Hotel Rosa Alpina – il Relais & Châteaux della famiglia Pizzinini a San Cassiano – dove il tre stelle Michelin Norbert Niederkofler (autore delle Animelle di vitello, erbe acide e pino) porta sui tavoli del St. Hubertus piatti autentici e vibranti che esprimono lo spirito delle Dolomiti. All’Hotel La Perla, a Corvara, la famiglia Costa ha creato un’elegante casa di montagna con un servizio perfetto, sorridente e confidenziale, un’offerta culinaria (colazione compresa) all’insegna della sostenibilità e di un fiero localismo e una cantina capace di esaudire qualsiasi desiderio di un wine lover. Lo stesso avviene a Ortisei, dove il menu di Reimund Brunner ha trasformato il ristorante Anna Stuben dell’Hotel Gardena in una chicca che brilla di luce propria. E senza uscire dall’Alto Adige, conviene fare una deviazione sull’Altopiano del Renon (a pochi chilometri da Bolzano) per fare la conoscenza di uno dei giovani più promettenti della regione: Stephan Zippl del ristorante 1908, anno che rimanda all’inaugurazione del Parkhotel Holzner. Una lunga e importante storia di famiglia che il giovane cuoco riesce ad attualizzare con creatività e tecnica, senza retorica, collaborando con virtuosi produttori e allevatori locali quando non attinge direttamente all’orto dell’albergo. 

LA RISCOSSA DEL SUD 

Dalla Val Badia alla Costiera, altra enclave ad altissima concentrazione di hotel che fanno dell’alta ristorazione un formidabile strumento di attrazione, amplificato da un paesaggio che tutto il mondo invidia. Se almeno una volta nella vita avete trascorso un weekend al San Pietro di Positano sapete di cosa stiamo parlando: una lunga, ripida e scenografica scala che attraversa gli orti e i limoneti dell’hotel della famiglia Cinque (no worries: c’è anche l’ascensore) divide l’informale Carlino, il pieds dans l’eau dove gustare i celebri spaghetti limone e peperoncino, dal panoramico Zass, casa stellata del belga, ormai adottato, Alois Vanlangenaeker che nel nuovo menu ha inserito il risotto con burrata, seppie, bietola rossa e mela verde. Che il cibo qui sia trattato con la massima serietà lo testimonia la cucina di mille metri cubi scavati nella roccia, realizzata tre anni fa, dopo 9 mesi di lavoro e 3 milioni di euro di investimento. Al tramonto, obbligatoria una sosta sulla terrazza più instagrammata d’Italia, dove il Capo Barman Michelangelo Del Pezzo vi preparerà un memorabile Pickled Negroni con Vallombrosa gin, amaro Lucano, vermouth del Professore, aceto balsamico 10 anni e bitter al cioccolato, invecchiato in barile per 21 giorni prima di essere imbottigliato. La lista di must go della Costiera e delle Isole potrebbe non finire (quasi) mai, dal Monastero Santa Rosa Hotel & Spa – dove lavora l’ottimo Christoph Bob al Refettorio – all’Hotel Capo La Gala con il Maxi, al Capri Palace e alla sua doppia anima – l’Olivo e il Riccio. Ma la Campania non è solo Costiera, naturalmente. Sono ancora da scoprire le enormi potenzialità del Sannio Beneventano, nell’entroterra, e per farlo si può cominciare dalla buona tavola dell’Aquapetra, fascinoso resort con Spa a Telese dove lo chef Luciano Villani è diventato un raffinato ambasciatore del ricco giacimento di prodotti del territorio. A Napoli la scena della ristorazione d’albergo si è levata un po’ di polvere di dosso grazie alla mano felice di Domenico Candela, nuovo chef del George, all’ultimo piano dello storico Grand Hotel Parker’s. Provate il suo spaghettone del Pastificio dei Campi con diverse qualità e consistenze di pomodori campani. Definitivo. A proposito di terrazze: da capogiro quella del Belmond Grand Hotel Timeo, immersa in un giardino botanico con vista sulla baia di Naxos e su “Idda”, ovvero l’Etna, che fa da quinta naturale al ristorante Otto Geleng (il pittore tedesco che si innamorò di Taormina e per primo ne intuì le potenzialità turistiche, tanto da convincere la famiglia La Floresta ad aprire nel 1873 il Timeo, primo hotel in città). Solo otto i tavoli, dove vivere una serata da sogno, per veri romantici, accompagnata dai sorprendenti piatti di Roberto Toro:  la ricetta del suo Risotto, brodo di manzo, piselli e polpa di ricci sul nostro sito. A dimostrazione del fatto che oggi nessun nuovo progetto di ospitalità può prescindere da un’offerta enogastronomica competitiva, il nuovo resort cinque stelle lusso San Barbato Resort Spa & Golf, a Lavello (Potenza), nel cuore della Basilicata, custodisce un’emanazione del ristorante Don Alfonso 1890 della famiglia Iaccarino – una delle destinazioni italiane più celebri e amate a livello internazionali – che qui hanno portato lo stesso pensiero di cucina che molti anni fa ha dato il via alla riscossa della grande cucina del Sud. Gli hotel, insomma, stanno tornando a essere luoghi privilegiati dell’haute cuisine (e del bere miscelato). Senza che siano regole “collegiali” e procedure standard a modulare il tono di voce degli alberghi ma, viceversa, il genius loci, la biodiversità e l’innovazione. È una rivoluzione economica e culturale: i progetti di ristorazione più ambiziosi e consistenti, quando vengono integrati in un hotel, riescono ad ammortizzare il rischio imprenditoriale e, allo stesso tempo, sono capaci di attrarre i locals e i turisti dai palati più colti ed esigenti. 

Abbonati o regala l’edizione Italiana di una delle più prestigiose riviste di cucina.